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La scuola che prova a seminare rispetto e diritti

Ci sono piccoli incontri ma di grande valore, se il loro peso si misura in legami, confronti, tentativi di capirsi e di mettersi in gioco. E’ successo al bosco didattico di Ponte Felcino il 27 aprile, durante un “Incontro per sensibilizzare e conoscere le problematiche della violenza sulle donne – Seminiamo ed educhiamo alla vita”. L’incontro, organizzato da Luigina Abbenante, ha portato al tavolo dei relatori rappresentati delle istituzioni e dell’università che si sono messi al servizio dei ragazzi delle scuola media Bonazzi-Lilli di Ponte Felcino: Mauro Volpi, professore dell’università di Perugia, Claudia Matteini, giudice del tribunale di Perugia, Letizia Tomaselli, vice questore, Nilo Arcudi, vice sindaco, insieme alla dirigente scolastica Paola Avolio. Dalla Costituzione alle leggi che tutelano la differenza di genere, dalla spiegazione di cos’è lo stalking ai consigli per evitare di fare brutti incontri, soprattutto con persone conosciute su internet, l’incontro è servito a dare degli strumenti, ai ragazzi e alle ragazze, per guardare al problema della violenza alle donne, ma anche ai rapporti e delle relazioni fra loro, da altri punti di vista. A far capire che la violenza non è solo uno schiaffo: c’è la violenza del silenzio, la violenza economica, quella psicologica e quella assistita, ad esempio quando un bambino o un ragazzo sono costretti ad assistere ad atti di violenza su uno dei propri familiari.

 

Un incontro che è stata un’apertura al mondo della la scuola, per affrontare temi che fanno parte della vita delle persone e che non si imparano sui libri di scuola, ma con la conoscenza dei propri diritti e un progressivo cambiamento nelle relazioni fra ragazzi e ragazze, fra uomini e donne. Anche un incontro, però, che ha messo in luce la difficoltà che ha la scuola a far fronte ai grandi cambiamenti, che spesso i professori si trovano ad affrontare da soli, quando si ritrovano sui banchi ragazzi che arrivano da tanti parti del mondo, con le loro culture, il loro modo di vedere la vita e, spesso, la difficoltà ad inserirsi socialmente, ad essere seguiti da genitori che lavorano per ore fuori casa.

 

Ci sono tante scuole che si ritrovano sulle barricate, con sempre meno strumenti e la necessità, per compiere appieno il mestere di educatore, di riuscire a comunicare con ragazzi e ragazze portatori di culture diverse e di dar loro gli strumenti per integrarsi in un contesto non sempre accogliente. Una sfida troppo spesso silenziosa e molto complessa, che ben pochi, fuori dalla scuola, stanno raccogliendo. “Ogni giorno affrontiamo problemi diversi  – spiega la dirigente scolastica Avolio, motivatissima preside che si fa carico dei ragazzi, conosce ogni situazione, prova  a dare risposte  – dalla ragazza che, in estate, torna al suo paese e viene promessa in sposa, alla famiglia che non accetta che la propria figlia si integri con le altre ragazze italiane. Alle famiglie, soprattutto italiane, dove il padre ha perso il lavoro, non se ne fa una ragione e diventa violento. Per contro, a volte, vediamo classi multietniche dove i ragazzi hanno tutti un marcatissimo accento perugino e questo ci fa ben sperare”. Ma in questo complesso e complicato processo, troppo è lasciato alla buona volontà di dirigenti e professori volonterosi e ben poco alla progettualità sociale. E così, a volte, prende lo sconforto anche ai più motivati. Racconta una insegnante:_”Noi, a scuola proviamo a insegnare, a dare delle regole e a stare vicino ai ragazzi. Ma poi all’una la scuola chiude…”. E quello che i ragazzi trovano fuori, non sempre è in sintonia con quanto succede in aula.

E il Nobel all’ambiente finisce in un trafiletto Le donne e la paura di fare sogni spericolati

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